I NOSTRI SERVIZI

Unità Operativa di elettrofisiologia e cardiostimolazione

Area cuore

L’unità operativa di elettrofisiologia e cardiostimolazione fa parte dell’area cuore della Clinica Mediterranea, importante riferimento dell’Italia meridionale per la ricerca e la cura delle patologie cardiovascolari.

U.O. di elettrofisiologia e cardiostimolazione.
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ReteIMA

Rete dell’Infarto Miocardico Acuto con sopraslivellamento ST

Il laboratorio di elettrofisiologia della Clinica Mediterranea è specializzato nel trattamento delle aritmie cardiache, anche complesse, insorgenti nelle varie forme cliniche in pazienti adulti (extrasistoli, tachicardie, bradicardie e fibrillazione).

Importante riferimento per il trattamento dei disturbi del ritmo cardiaco, il team di Elettrofisiologia della Clinica Mediterranea assicura al paziente l’individuazione dei più adeguati percorsi terapici e chirurgici, avvalendosi di metodologie e strumentazioni tecnologiche d’avanguardia.

Attività chirurgica

Le principali attività del Laboratorio di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione sono:

È un esame che consente la diagnosi di anomalie dell’impulso elettrico cardiaco, valutando l’origine e la sua propagazione lungo il sistema di conduzione del cuore. Suddette anomalie vengono in genere avvertite dal paziente con sintomi quali stanchezza, affanno e/o palpitazioni. Lo SEE consente la diagnosi precisa del meccanismo e della sede delle anomalie, permette la riproduzione degli eventi aritmici di cui il paziente è sintomatico e rappresentando la base per un corretto trattamento, essendo difatti propedeutico all’ablazione transcatetere mediante radiofrequenza (a cui si rimanda).

La procedura è eseguita con paziente sveglio. Dopo anestesia locale in regione inguinale si procede all’introduzione di 2 o 3 elettrocateteri diagnostici che risalgono, sotto controllo fluoroscopico, fino all’interno delle camere cardiache. L’accesso più frequentemente utilizzato è quello venoso femorale destro, talora è necessaria la via arteriosa femorale destra o la via venosa succlavia sinistra (in quest’ultimo caso l’anestesia locale verrà praticata anche in regione infraclaveare omolaterale). Lo studio inizia con la registrazione dei segnali elettrici provenienti dal cuore rilevata dai sensori siti sui cateteri e trasmessi al computer di controllo. Una volta indotta l’aritmia, lo studio dei tracciati permette all’elettrofisiologo di localizzare il punto o la struttura anatomica responsabile dell’aritmia. L’intervento si conclude con la rimozione dei cateteri. È un’indagine in genere ben tollerata. Durante la procedura il paziente potrebbe riconoscere la stessa sintomatologia riferita all’insorgenza degli episodi aritmici. Al termine della procedura, dopo alcune ore di riposo a letto il paziente è in grado di alzarsi. La degenza media è di due notti di ricovero.

È una procedura terapeutica invasiva il cui scopo è l’interruzione di quei “circuiti elettrici” responsabili delle aritmie cardiache così per impedirne le ulteriori recidive. La procedura è eseguita a paziente sveglio. Essendo in genere l’ablazione TC con RF una tappa successiva allo studio elettrofisiologico endocavitario (SEE), essa viene praticata durante la stessa seduta operatoria e l’approccio è praticamente sovrapponibile alla suddetta indagine a cui si rimanda. In effetti, terminato lo SEE si aggiunge ai cateteri diagnostici, un catetere ablatore atto a creare delle lesioni in quei punti critici del cuore (individuati tramite lo SEE) da dove originano e/o si propagano le aritmie. Tramite i poli del catetere ablatore posizionato all’interno delle cavità cardiache si danneggiano le cellule cardiache anomale per ripristinare un normale ritmo cardiaco. E’ in genere una procedura ben tollerata. Il paziente potrebbe avvertire durante l’erogazione dell’energia, una lieve sensazione di bruciore o lieve dolore al torace. L’intervento si conclude con la rimozione di tutti i cateteri ed una compressione manuale locale nel punto di accesso degli stessi. Al termine della procedura, dopo alcune ore di riposo a letto, il paziente è in grado di alzarsi. La degenza media è di due notti di ricovero.

La fibrillazione atriale (FA) è la più comune tra le aritmie cardiache; il rischio di esserne affetti aumenta con l’età, la percentuale dei pazienti affetti sale al 5% oltre i 65 anni. Tale aritmia è piuttosto frequente nei pazienti con patologie quali l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, le valvulopatie. Oltre a provocare fastidiosi sintomi (affanno, astenia, dolore toracico, cardiopalmo) è tra le principali cause di ictus cerebrale e scompenso cardiaco. La terapia farmacologica di tale patologia è purtroppo relativamente inefficace e per di più gravata da un’elevata percentuale di complicanze. Ciò ha determinato il progressivo sviluppo delle cosiddette terapie non farmacologiche della fibrillazione atriale, l’ablazione endocavitaria transcatetere e chirurgica.

Il nostro Laboratorio di Elettrofisiologia utilizza per l’ablazione della fibrillazione atriale, e di altre aritmie complesse, sistemi di mappaggio tridimensionale (3D) capaci di ricostruire in tempo reale la tridimensionalità della camera cardiaca indagata dall’elettrofisiologo, non come un fermo immagine bensì riproducendo un’anatomia che si adatti agli atti respiratori del paziente. Questi sistemi sono eventualmente capaci di integrare le immagini cardiache acquisite in tempo reale con quelle ricavate dalla TC o RMN. L’ intervento si esegue in anestesia locale e sedazione e consiste nell’introduzione, attraverso una vena inguinale e talora sottoclavicolare di elettrocateteri (del diametro di qualche mm) posizionati all’interno del cuore per registrarne l’attività elettrica.  La camera cardiaca sede dei circuiti aritmici della fibrillazione atriale è l’atrio sinistro raggiunto, dal catetere ablatore, tramite una puntura sul setto interatriale (parete che divide il cuore destro dal cuore sinistro). Una volta eseguita la puntura transettale, attraverso il catetere ablatore, si eseguirà il mappaggio dell’atrio sinistro ed una volta definita la camera cardiaca in 3D, inizierà la procedura di ablazione che consiste nell’ eseguire delle lesioni terapeutiche (tramite radiofrequenza) nelle zone atriali di interesse (vene polmonari). Una tecnica ablativa alternativa alla radiofrequenza è il trattamento della fibrillazione atriale con la Cryoablazione,. La differenza rispetto alle altre metodiche è l’utilizzo di temperature fino a – 40° per l’induzione della necrosi delle fibre miocardiche localizzate agli osti delle vene polmonari. Una volta posizionata la punta del catetere, per via venosa femorale destra e successiva puntura transettale, agli osti delle vene polmonari, verificata l’occlusione totale dell’ostio venoso in esame, si procede alla creazione della lesione a freddo, sicché  la circonferenza della vena a contatto con il palloncino subisce una cicatrizzazione da bassa temperatura. Tale tecnica consente una significativa riduzione dei tempi procedurali pur garantendo un’alta percentuale di successo e bassa percentuale di complicanze.

La degenza media per la procedura di ablazione transcatetere mediante radiofrequenza della fibrillazione atriale è di 2 notti ed il ritorno del paziente alle proprie abitudini di vita è pressocché immediata.

La cardioversione elettrica esterna è una metodica utile ad interrompere un episodio di alterazione del ritmo cardiaco (ad es. fibrillazione atriale, flutter atriale) per il quale la terapia farmacologica si è dimostrata inefficace o che determini nel paziente dei sintomi gravi (ad es. perdita di coscienza, affanno, ipotensione) tali da dover interrompere l’aritmia il prima possibile. La procedura si esegue in sedazione profonda, per cui il paziente viene addormentato ma mantiene le proprie funzioni vitali autonome. Sulla parete toracica del paziente vengono applicate delle piastre o placche adesive collegate ad un defibrillatore esterno. Lo shock elettrico, erogato attraverso la parete toracica, attraversa il cuore provocando nella quasi totalità dei casi un arresto dell’aritmia e il ripristino del normale cardiaco. La CVE in alcuni casi è subordinata all’esito dell’ecocardiogramma transesofageo (ecoTEE). L’ecoTEE, attraverso una sonda endoscopica posizionata per via orale all’altezza dell’esofago, serve ad escludere l’eventuale presenza di trombi all’interno delle cavità cardiache visualizzate, che controindicherebbero la procedura di CVE per l’alto rischio di eventi embolici (ad es. ictus cerebrale).  La procedura di CVE è generalmente molto ben tollerata. Al termine della procedura, una volta ripristinato il normale ritmo cardiaco, il paziente riprende coscienza e dopo qualche ora eseguirà un controllo elettrocardiografico al fine di valutare la stabilità del ritmo. La procedura può richiedere il ricovero ospedaliero in regime ordinario o di day hospital, in base al singolo caso. La cardioversione elettrica esterna, a differenza dell’ablazione TC mediante RF delle aritmie, tratta il singolo episodio aritmico senza modificare l’evoluzione della patologia aritmica.

Un pacemaker è un dispositivo capace di riconoscere il rallentamento del battito cardiaco del paziente ed intervenire inviando degli impulsi elettrici che aumentano la frequenza cardiaca riportandola a valori normali, evitando quindi l’insorgenza di sintomi quali stanchezza, affanno, vertigini fino alla perdita di coscienza. Il dispositivo impiantato varia a seconda della patologia del paziente (PMK monocamerale nei pazienti con fibrillazione atriale cronica, PMK bicamerale nei pazienti con malattia del nodo del seno o blocco atrioventricolare e PMK biventricolari nei pazienti con concomitante cardiopatia lievemente ipocinetica ed anomalia elettrocardiografica chiamata blocco di branca). Previa anestesia locale, generalmente in sede sottoclavicolare sinistra, si procede, sotto controllo fluoroscopio, ad inserire in una vena (succlavia o cefalica) un elettrocatetere la cui estremità distale viene posizionata all’apice del ventricolo destro (PMK monocamerale), mentre per i PMK bicamerali si aggiunge un secondo elettrocatetere la cui estremità viene alloggiata nell’ auricola dell’atrio destro. Nei PMK biventricolari un terzo elettrocatetere alloggiato all’interno di una vena (seno coronarico) che circonda la metà sinistra del cuore. Questo terzo catetetere ha la fondamentale funzione di stimolare il cuore in maniera sincrona con quello alloggiato nel ventricolo destro, così da rendere la contrazione cardiaca il più fisiologica possibile. Una volta valutata la corretta posizione dei cateteri nelle camere cardiache si collega la loro estremità prossimale al pacemaker, collocato poi in una “tasca” sottocutanea ottenuta scollando la cute dal piano muscolare sottostante. La piccola ferita chirurgica viene chiusa con punti di sutura. Il paziente dopo 24 ore di riposo a letto ed immobilizzazione della spalla sinistra, potrà alzarsi dal letto. La durata media del ricovero è di due notti.

La batteria del pacemaker o defibrillatore, dopo una durata media di 8 anni circa, tende ad esaurirsi, in maniera prevedibile (grazie ai controlli telemetrici periodici a cui il paziente si sottopone). La batteria è sigillata in un involucro, pertanto per sostituzione di batteria s’intende la sostituzione dell’intero dispositivo. L’intervento chirurgico prevede la somministrazione di anestesia locale, la rimozione del preesistente pacemaker o defibrillatore e la sostituzione con il nuovo dispositivo collocato in genere nella “tasca” sottocutanea preesistente. La piccola ferita chirurgica viene chiusa con punti di sutura. Il paziente può mobilizzarsi già dopo un paio di ore dall’intervento. È in genere un intervento molto rapido. La durata media del ricovero è di due notti.

È un dispositivo che riconosce l’improvvisa comparsa di aritmie minacciose per la vita del paziente ed applicando al cuore terapie elettriche appropriate ripristina il normale ritmo cardiaco. Il defibrillatore può rilasciare un certo numero di terapie a diversa energia in base all’aritmia insorta. In genere le terapie a più bassa energia non danno sintomi o al massimo possono provocare brevi sensazioni di battito cardiaco rapido; quelle ad energia più alta invece (“shock di defibrillazione”) vengono avvertite come una piccola scossa, oppure come un “pugno in pieno petto”. In ogni caso, la sensazione spiacevole è momentanea e non ci sono altri effetti “ritardati”. Ovviamente, l’aritmia che provoca il rilascio della terapia potrà causare sensazione di rapide palpitazioni, vertigini, o addirittura svenimento. Il defibrillatore ha anche la funzione di pacemaker, stimolando il cuore nel caso di comparsa di una bassa frequenza cardiaca. Il dispositivo impiantato varia a seconda della patologia del paziente (defibrillatore monocamerale nei pazienti con fibrillazione atriale cronica o con assenza di anomalie del ritmo cardiaco, PMK bicamerale nei pazienti con malattia del nodo del seno e defibrillatori biventricolari nei pazienti con concomitante severa cardiopatia ipocinetica ed anomalia elettrocardiografica chiamata blocco di branca)

Previa anestesia locale, generalmente in sede sottoclavicolare sinistra, si procede, sotto controllo fluoroscopio, ad inserire in una vena (succlavia o cefalica) un elettrocatetere la cui estremità distale viene posizionata all’apice del ventricolo destro (defibrillatore monocamerale), mentre per i defibrillatori bicamerali si aggiunge un secondo elettrocatetere la cui estremità viene alloggiata nell’ auricola dell’atrio destro. Nei defibrillatori biventricolari un terzo elettrocatetere viene aggiunto ed alloggiato all’interno di una vena (seno coronarico) che circonda la metà sinistra del cuore. Questo terzo catetere ha la fondamentale funzione di stimolare il cuore in maniera sincrona con quello alloggiato nel ventricolo destro, così da rendere la contrazione cardiaca il più fisiologica possibile. Una volta valutata la corretta posizione dei cateteri nelle camere cardiache si collega la loro estremità prossimale al defibrillatore che verrà collocato in una “tasca” sottocutanea ottenuta scollando la cute dal piano muscolare sottostante. La piccola ferita chirurgica viene chiusa con punti di sutura. Il paziente dopo 24 ore di riposo a letto ed immobilizzazione della spalla sinistra, potrà alzarsi dal letto. La durata media del ricovero è di due notti.

Il “loop recorder” è un piccolo dispositivo, in grado di registrare e memorizzare le anomalie del ritmo cardiaco in modo automatico, o su comando del paziente tramite l’attivazione, in presenza di sintomi, di un apposito telecomando esterno. Questo dispositivo trova la sua principale applicazione nei pazienti con episodi di perdite di coscienza inspiegate, ma talora può essere utilizzato nel monitoraggio a lungo temine dei pazienti con aritmie. Attualmente esistono dei sistemi iniettabili che vengono inseriti, previa anestesia locale, in sede parasternale. L’interrogazione del loop recorder viene eseguito ambulatorialmente tramite una sonda (“testa di programmazione”), collegata a sua volta ad un computer (“programmatore”); in base all’anomalia del ritmo cardiaco registrato, l’elettrofisiologo potrà indicare al paziente l’iter terapeutico idoneo.

Procedure di ablazione transcatetere mediante radiofreqenza per il trattamento delle aritmie senza l’utilizzo di raggi (SCOPIA 0)

L’ablazione transcatetere è ad oggi la prima scelta terapeutica per il trattamento di molte aritmie cardiache. Il posizionamento degli elettrocateteri all’interno delle cavità cardiache è coadiuvato dall’utilizzo della fluoroscopia che ne consente la localizzazione. Già da diversi anni la comunità scientifica ha posto notevole attenzione circa il danno biologico per il paziente e gli operatori in caso di esposizione prolungata alle radiazioni ionizzanti. Tramite i sistemi di mappaggio elettroanatomico utilizzati già routinariamente per la ricostruzione tridimensionale delle cavità cardiache (da sottoporre ad ablazione transcatetere per il trattamento delle aritmie più complesse) è possibile la ricostruzione dei vasi attraverso cui gli elettrocateteri giungono fin dentro al cuore ed il controllo del loro posizionamento nelle camere cardiache. L’abbattimento dell’esposizione radiologica soprattutto per le donne in età fertile e nei giovani sottoposti ad ablazione transcetetere, pone il nostro Laboratotorio di Elettrofisiologia come riferimento di Alta Specialità nel trattamento delle aritmie in campo regionale e non solo.

 

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